Arrivarono di notte.
Il suono delle sirene nelle strade ci paralizzava ogni volta. Più era vicino più il semplice timore cedeva il posto alla paura, al terrore. Due volte erano stati nella nostra via, due notti insonni trascorse abbracciati a tremare e consolarci. Non è per noi non è per noi, ci ripetevamo.
Quella notte le sirene si fermarono troppo vicino per non essere per noi. Passò giusto un istante fra quando si spensero e quando udimmo il primo colpo violento sul portone.
– Aprite! Polizia dell’Inedito!
Mio padre ci disse che non c’era nulla da temere e scese ad aprire. Mia madre e io, seduti sul mio letto stretti in un abbraccio, sapevamo benissimo che mentiva.
– Ne hai parlato con qualcuno?
– No, mamma, te lo giuro. Sono stato attento.
Ancora oggi non so come siano riusciti a saperlo. Non ne avevo fatto parola nemmeno con gli amici più fidati. Ci lavoravo di sera, con le tende chiuse, al riparo da sguardi curiosi. È vero, ero un buon lettore, ma questo non basta. Compravo carta e penne sempre in cartolerie diverse.
Sentii mio padre che apriva la porta e chiedeva spiegazioni. La voce grossa di un agente lo zittì. Salirono con foga le scale e in due, nella divisa viola d’ordinanza, entrarono in camera mia.
– Allora, dov’è?! Sappiamo che è qui da qualche parte, non fateci perdere tempo!
I miei genitori negarono. Io ero troppo impaurito anche solo per tenere gli occhi aperti. Era questione di minuti.
Salì un altro agente e in tre iniziarono a rovistare dappertutto, con violenza, rompendo e infrangendo. Aprirono ogni cassetto, ogni anta, ma non trovarono niente.
– L’hai nascosto eh?, mi disse il più alto in grado.
Iniziò a girarsi attorno con sguardo fin troppo allenato. A parte il mio piagnucolio la stanza era immersa nel più completo silenzio. Tastava muri, spostava rudemente mobili e oggetti. Niente.
Cominciò a camminare su e giù per la stanza, lentamente. La suola di gomma dei suoi anfibi emetteva un suono leggermente stridulo sul legno del pavimento. La percorse tutta più volte. D’un tratto poggiò il piede nel piccolo spazio tra comodino e letto. Si udì uno scricchiolio. S’inginocchiò e spostò il comodino.
– Qui!, disse agli altri due.
Ci misero un attimo a togliere i listelli di parquet non fissati e a rivelare il piccolo nascondiglio. Afferrarono il contenuto e lo passarono al capo. Lui lo sfogliò velocemente dall’inizio alla fine, poi tornò alla prima pagina, quella col titolo.
– Le mirabolanti avventure di Bisso Bossoni, disse l’agente leggendolo.
– È mio! L’ho scritto io!, gridò inutilmente mio padre, in un disperato tentativo di addossarsi la colpa.
– Peccato che in copertina figuri in Times New Roman, grassetto, sottolineato, punto 16 il nome di suo figlio, disse l’agente svuotandolo di ogni speranza.
Il poliziotto dell’Inedito si voltò verso di me, risoluto.
– Sai bene che ogni scritto non pubblicato va denunciato e consegnato alla Biblioteca Nazionale dell’Inedito. Le disposizioni del Ministro Franceschini sono chiare oltre ogni ragionevole dubbio. Come da prassi e secondo le norme stabilite dal diritto d’autore sono tenuto a chiederti conferma del fatto che questo manoscritto è opera tua e di nessun altro.
Lo guardai appannato fra le lacrime e dissi di sì.
– Bene. Questo viene con me – disse sventolando il mio romanzo da poco terminato – Verrà depositato presso la BNI entro una settimana lavorativa a partire da oggi. Potrai consultarlo per un massimo di tre volte al mese presentando apposita richiesta scritta da inoltrare al Ministero della Cultura, Dipartimento degli Inediti. Per ulteriori informazioni potrai consultare il sito web del Ministero o chiamare l’apposito call center.
Mentre usciva dalla stanza si bloccò sulla soglia.
– Bruciate tutti i cassetti, disse rivolto ai suoi sottoposti, senza nemmeno voltarsi.
Quelli, ligi al dovere e senza emozioni, svuotarono tutti i cassetti di casa, li buttarono in strada e con la pompa fiammeggiante li ridussero in cenere.