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Lei

Lei era di una bellezza abbacinante. Questo però lo capii solo molti anni più tardi, quando lessi nel dizionario la definizione di abbacinante. Lì per lì pensai solo che fosse una donna bellissima.

Appena la vidi compresi subito che quella sarebbe stata la donna che mi avrebbe chiesto il divorzio. Prima però avrebbe dovuto sposarmi. La cronologia era dalla mia parte.

Non ricordo come fosse vestita, ma di certo lo era, altrimenti i miei ricordi sarebbero ancora più appannati.

Sedeva come nulla fosse al bancone del bar, anche se non c’erano sgabelli. Forse il merito era di quei tacchi vertiginosi che indossava. Ci passai sotto e appoggiai gomiti e lingua accanto a lei.

Aveva davanti un drink sofisticato: una parte di tetracloruro di potassio, una parte di perossido d’azoto, una parte di vodka estratta dal cadavere dello Zar Nicola. Con una scorzetta di limone. Agitato non stressato.

Per fare colpo ordinai un bicchiere di vetro di Burano soffiato al momento con dell’acqua tonica sgasata. Senza limone, per dimostrare quanto tenessi alla regolarità intestinale.

Lei mi notò subito, quando provai a bere con le orecchie. Allora le sorrisi. Il drink le andò per traverso e iniziò a tossire violentemente. Quando si riprese avvicinò la bocca al mio orecchio e sussurrò: Hai un pastore maremmano fra i denti.

Era Pozzy, il mio cane. Ogni volta che uscivo faceva di tutto pur di farsi portare fuori.

Cercai di sdrammatizzare. Ti piacciono i toscani? le dissi indicando il cane. Lei annuì, prese Pozzy, lo accese e iniziò a fumarlo con grandi boccate. Che donna.

Posso offrirti da bere? le chiesi. Il bar è mio, mi rispose. Puoi offrirmelo tu, allora? tentai, ma lei non abboccò.

Quando stacchi? le domandai. Nel 2038, rispose. La fissai intensamente e le dissi Ok, ma non farmi aspettare.

Uscii dal bar in preda alla delusione. Oltrepassai la soglia convinto che l’aria fredda della notte mi avrebbe investito. Invece ci pensò una station wagon.

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