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Il primo giorno di scuola

Il mio primo giorno di scuola. Come potrei dimenticarlo?

Ammalandomi d’Alzheimer, per esempio.

Oppure come in quel film dove c’era una clinica per farsi cancellare i ricordi, solo che poi scoprivi di essere Jim Carrey ed era peggio.

Di quel giorno non ricordo ogni dettaglio, ovviamente, perché non c’era il Full HD. Erano altri tempi. Diciamo che ricordo tutto un po’ pixellato. Ma ce l’ho bene in mente.

Anche perché è stato tre anni fa (i miei, quando mi portarono all’asilo, non avevano capito che dovevano ripassare a prendermi. Le maestre, per regolamento, non potevano lasciarmi andare da solo. Ne sono uscito a 36 anni, grazie alla riforma).

Ricordo che la maestra era così giovane che venne anche lei accompagnata dai genitori. E che piangeva a dirotto quando loro se ne andarono lasciandola con 20 ragazzini urlanti. Più il sottoscritto, urlante anch’io per spirito di corpo.

Ricordo che fu molto pignola nel disporci nelle varie file di banchi in base all’altezza. Volle rispettare a tutti i costi la proporzionalità. Mi sistemò nel parcheggio.

Il mio compagno di banco si chiamava Yuri Pavlov. Pensai subito che fosse un nome stranissimo, infatti poi scoprii che era originario d’Ancona. Veniva da una famiglia di etologi. Non vi dico che disastro ogni volta che suonava la campanella. Spesso ero costretto a passare lo straccio.

Della maestra ricordo anche che era già molto avanti col programma, al punto che ci fece subito fare un tema sul primo giorno di scuola. Quasi tutti lo lasciarono incompleto, a parte un tizio di nome Mandelbrot. Nessuno capì come aveva fatto.

Ricordo i bidelli, tutti vestiti col camice bianco, perché il giorno prima era morto il bidello più anziano e portavano il lutto.

Ricordo il mio banco. In un angolo, incisa forse con delle forbicine senza punta, lascito di un altro bambino alla scoperta del mondo, c’era una frase in tedesco di Wittgenstein, tratta dal Bemerkungen über die Grundlagen der Mathematik.

Ricordo la foto del Presidente della Repubblica e appena sopra la foto del crocifisso. Ricordo che pensai “anche questa volta i cattolici ci hanno raggirato”. La maestra mi mise in punizione. Era davvero molto avanti col programma.

All’uscita andai a prendere mio figlio, alle medie. “Com’è andata?”, mi chiese. “Dura”, risposi. “Eh, non vai più all’asilo”, concluse lui ingranando la prima.

Una volta a casa, sul mio diario dell’Orso Yo-ghi-Oh! (l’avevamo preso dai cinesi) scrissi: “2599 giorni al diploma”.

(mi piaceva molto andare a scuola, limitatamente al tragitto)

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