L’informazione è potere. Negli anni 80 i giornali lo scrivevano un giorno sì e uno no. Negli anni 90 cinque volte a settimana. Adesso invece scrivono quasi sempre “Ve l’avevamo detto o no, negli anni 80 e 90, che l’informazione è potere?”, bullandosi per l’unica previsione che hanno azzeccato dal dopoguerra.
Quando abbiamo scoperto che un ragazzino smanettone era in grado di scatenare una guerra termonucleare globale abbiamo capito che il mondo stava cambiando. E che quel ragazzino poteva essere il figlio occhialuto e silenzioso dei nostri vicini.
Così abbiamo iniziato a temere quelli che i giornali chiamavano – ovviamente sbagliando – hacker, furfanti del cyberspazio che s’infiltravano, comodamente da casa, nei sistemi informatici del governo, per rubare e distruggere, mettendo in pericolo la vita di noi onesti e tecno-disadattati cittadini perché, si sa, tutto è controllato dalle macchine, e queste sono collegate, i virus si trasmettono dall’una all’altra in un battibaleno, poi c’è la teoria del caos che dice che basta un attimo e tutto crolla, e non è che le macchine pensino, eseguono solo dei programmi, però ti tagliano fuori, e non puoi staccare la corrente perché la macchina è programmata per reagire, e basta un corso di Basic per poter costruire un supercomputer, per non parlare di Matrix. Insomma questi criminali informatici bisogna fermarli, prima che facciano chissà quali danni.
Ce l’hanno insegnata così bene, la cantilena, che ora che abbiamo scoperto che l’unico vero gigantesco hacker è il governo USA, ci siamo persino rimasti male.
Vorrei esprimere la mia avversione nei confronti del verbo “bullarsi”.
A me un po’ di vintage non dispiace, le dirò.