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Sfera Eppubblica

I social media hanno messo a disposizione di tutti una sfera pubblica. Un’enorme sfera pubblica. E non riesco a capire come a un certo punto questa possa essere sembrata una buona idea.

Certo, una sfera pubblica esisteva anche prima. Solo che prima non potevamo tenerla in tasca e tirarla fuori ogni due minuti.

La sfera pubblica precedente ai social media era protetta da un involucro fatto del materiale più resistente del mondo: la pigrizia. Le piazza e le strade, insomma, non erano piene di gente che arringava su qualunque tema a un pubblico che rispondeva e commentava e faceva a sua volta partire una nuova arringa e via così fino a una nuova definizione di girone infernale. Accedere alla sfera pubblica dal divano di casa, però, è comodissimo, e persino la pigrizia è andata in pezzi sotto i colpi del devo dire la mia.

Non mi stupisce più. Non ci stupisce più. È prassi, ormai.

Quello che ancora un po’, invece, mi stupisce, anche se sempre meno, come fosse un veleno a cui a forza di piccolissime dosi si diventa immuni, è l’utilizzo della sfera pubblica come se fosse quella privata. I cazzi propri trasmessi a social unificati. Alcuni probabilmente convinti che “i mei amici di Facebook” siano una sfera privata. Anche quando ne hanno cinquemila. E la privacy dei post impostata su “pure i morti”.

Sì, il primo motore dei social network è il potersi fare i cazzi degli altri. Però ogni tanto, davanti a un post, mi capita di pensare “io non dovrei sapere così tanto dei cazzi tuoi. Non dovrei sapere sempre dove sei, cosa fai, con chi, come, perché”.

Se non pubblichiamo online la cronaca puntuale e costante delle nostre vite, non moriamo mica . Quello succederà più avanti, nel metaverso che Zuckerberg ci sta arredando.

Diamoci un po’ di respiro.

Ah. Nel frattempo sono stato investito. Vi scrivo da sotto la macchina.

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