Tempo fa scrissi qualcosa del genere: i limiti della satira sono quelli della pagina su cui la state scrivendo.
Avevo assistito all’ennesima replica di una discussione in cui si cercava di mettere a fuoco fin dove potesse e dovesse spingersi la satira. Io, che avevo rinunciato a partecipare più o meno già alla prima replica della discussione, avendo capito che il tempo impiegato per scrivere sulla satira potevo impiegarlo per scrivere satira, me ne uscii con quella frase all’apparenza un po’ scema, ma che tuttora considero una buona definizione di libertà d’espressione, perché indica un limite pratico, materiale, di carta e penna, e lascia tutte le altre considerazioni, morali, letterarie, sociali, all’unico in grado di decidere in merito: l’autore.
La satira, ma credo in generale la letteratura e tutte le altre forme artistiche, può tutto quello che il suo autore vuole che possa, detto con una frase che sembra un esercizio d’italiano finito in tragedia. È la sensibilità e la capacità di chi scrive a porre i confini, in quel momento, in quell’opera.
Ieri, a Parigi, qualcuno ha pensato che non fosse l’autore a dover tracciare quei confini. Ieri, alla redazione di Charlie Hebdo, qualcuno ha deciso d’imporre i propri, di limiti, usando dei proiettili. Proiettili contro carta e penna. Proiettili contro parole, disegni. Qualcuno che deve aver davvero poca stima nelle proprie idee, se sente di doverle difendere da battute e vignette usando la morte.
Qualcuno convinto di poter tracciare dei nuovi limiti alla libertà d’espressione.
Qualcuno che non ha capito che se un autore satirico vede un muro, uno steccato, la prima cosa che fa è prendere la rincorsa.
Qualcuno che non ha capito che la satira andrà avanti comunque.
Almeno finché c’è spazio sulla pagina.