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La scampagnata elettorale

Sono ormai gli ultimi giorni di questa breve, ma non per questo meno ridicola, campagna elettorale. Il tempo che ci separa da domenica lo passeremo tutti facendo quei test “Quale partito ti rappresenta meglio?” invasi dal terrore che il risultato possa essere Forza Italia. In tanti siamo indecisi, per motivi diversi. Siamo così indecisi da essere lo specchio (o più probabilmente siamo l’immagine reale, e loro sono lo specchio) dei nostri politici, persone così poco decise che quando c’è da prendere delle decisioni davvero serie, se non critiche, delegano tutto al Draghi di turno, per poi lamentarsi perché gli è stato sottratto il potere di decidere.

Per evitare di pensare che molto probabilmente un partito post fascista (“Ma non siamo poi tutti post fascisti?” direbbe qualcuno di loro, “In fondo, veniamo tutti dopo il Fascismo”. Un po’ come quel “diritto di non abortire”. Incredibile che razza di acrobazie linguistiche devi fare per non sembrare di estrema destra.) andrà al governo e avrà la maggioranza in Parlamento, mi sono distratto immaginando una campagna elettorale che è letteralmente (guarda! un “letteralmente” usato bene!) una campagna. Un luogo ameno, fatto di verde, di tranquillità, di natura rigenerante. Finché non arriva l'”elettorale” che segue la “campagna”, finché non arrivano i politici, coi loro tanti vizi e le loro scarse virtù, a fare una scampagnata.

La Compagnia del Rosatello è così composta:

Giorgia Meloni: per anni non l’hanno mai invitata alla scampagnata elettorale. Ma lei, piano piano, anno dopo anno, ha messo da parte i soldi e alla fine si è comprata un gran bel furgone. Gli altri, allettati dall’idea che così possono andare tutti insieme, senza dover prendere la macchina, senza dover guidare (guida lei, ovviamente), facendole anche caricare tutto, e “già che ci sei fai anche la spesa no?”, non solo la invitano, ma fanno decidere tutto a lei, meta, orari, menu, passatempi vari. Perché, da bravi italiani, meglio di non fare un cazzo c’è solo lamentarsi di quello che fanno gli altri.

Matteo Salvini: non mette la quota per la spesa, non cucina, non apparecchia, sul furgone vuole stare davanti, passa tutto il tempo al telefono, mangia e beve a quattro palmenti, emettendo ritmici rutti, non mette a posto neanche una forchetta, non pulisce, litiga con un altro gruppo che aveva osato chiedere l’uso dei bracieri per il barbeque (“ci state invadendo!), indossa una felpa con la scritta “campagna” e quando si riparte, completamene ubriaco, pretende di guidare lui. L’unico suo contributo è una confezione d’insalata russa. Scaduta.

Silvio Berlusconi: per tutto il viaggio racconta barzellette sporche. Anzi, solo una, sempre la stessa, perché visto che nessuno alla fine ride è convinto che non l’abbiano sentita. Una volta arrivati, tira fuori un televisore portatile (“visto che razza di tecnologia! Ha otto canali!”) e ci si piazza davanti. Si scolla di lì solo per mangiare un po’ d’insalata, fare del biascicato catcalling rivolto a delle runner che passavano di lì, dopodiché si rimette davanti al televisore e lì si addormenta. A un certo punto lo coprono con una coperta. Al rientro a casa si accorgono che non c’è. Il giorno dopo scatteranno le ricerche.

Carlo Calenda & Matteo Renzi: vengono con la loro macchina, anzi, con la macchina di Calenda, perché così stanno più larghi, partono quando vogliono e dopo possono fare un salto allo chalet della Trilli, che dice che ha del tartufo che bisogna proprio che lo provino. Arrivano esattamente quando si inizia a mangiare, portando due bottiglie di champagne e del foie gras. Quest’ultimo non lo scartano nemmeno, di bottiglie di champagne ne aprono una, ne versano un dito a testa e il resto se lo bevono loro. Parlottano tra loro, ridacchiano, ogni tanto indicano Letta scoppiando in una sonora risata, confabulano e dopo un paio d’ore se ne vanno. In macchina, andando dalla Trilli, litigheranno per tutto il tempo accusandosi a vicenda di aver fatto fare all’altro la figura dello snob. All’arrivo si accorgeranno che qualcuno si è mangiato il fois gras e ha sostituito lo champagne con una bottiglia di “Trebbianone”.

Giuseppe Conte: metà della compagnia passa la giornata chiedendosi “ma questo chi l’ha invitato?”. L’altra metà chiedendosi “ma questo chi è?”. Nel dubbio, e su sua esplicita richiesta, è quello a cui vengono dati gli scontrini per fare i conti della spesa. Li farà sbagliati, ma tanto si sa, nessuno controlla mai.

Enrico Letta: non ha alcuna voglia di andare alla scampagnata. Non gli piace la compagnia (quel Renzi poi), non gli piace il posto, non gli piace il cibo. Vorrebbe restare a casa a guardare Decalogo di Kieślowski, ma i suoi insistono perché faccia un po’ di vita sociale e prenda un po’ di sole. Resta in silenzio per tutto il viaggio, all’arrivo aiuta a preparare tutto poi invece di mangiare si mette sotto un albero a leggere Cinéma 1. L’Image-mouvement di Deleuze. Quando lo invitano a prendere il caffè sbrocca male perché gli hanno messo lo zucchero e accusa tutti di essere delle teste di cazzo vomitevoli. Dopo qualche minuto chiede scusa piangendo e butta giù un mix di benzodiazepine che gli doneranno un lieve sorriso fino all’arrivo a casa, dove si riconcilierà col mondo guardando un’intervista a Cochi e Renato.

Altri: come anche nella vera campagna elettorale, di loro non frega praticamente niente a nessuno.

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