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Pi latino

La storia delle scoperte è piena zeppa di furti intellettuali o presunti tali.

L’America, per esempio. Ancora oggi la sua scoperta è da tutti attribuita a Cristoforo Colombo, quando invece il primo a gridare “Terra!”, dopo aver visto l’esile sagoma del nuovo continente all’orizzonte, fu un certo Rodrigo de Triana, marinaio della Pinta.

(su come poi si possa scoprire un continente già popolato, e quindi già scoperto quantomeno dai suoi abitanti, è questione che qui non approfondiremo)

Altro famoso caso fu quello del calcolo infinitesimale, la cui scoperta fu disputata tra Newton, Leibniz e Schuller, un birraio di Brema piuttosto pignolo per quel che riguardava la grammatura del luppolo per la sua pils.

Quasi sconosciuta invece è la vicenda del tentato furto del Pi greco, risalente a un periodo compreso tra il 12 e il 321 d.C. (le fonti sono vaghe).

Protagonista della vicenda fu un matematico romano, e precisamente umbro (l’Umbria a quell’epoca corrispondeva all’attuale Umbria), di nome Marcio Numerico, il quale, per un errore di calcolo (aveva mandato agli inferi un senatore perché l’aveva quasi investito col suo cavallo), era stato esiliato a Pocopopulos, una frazione di Atene.

Lì, nella culla della civiltà occidentale, Marcio Numerico si era quasi addormentato. Così, un giorno, per togliersi di dosso la fiacca, decise di fare una passeggiata, che in Grecia all’epoca si chiamava peripatata (poi in seguito videro bene di cambiare termine).

Peripatando a lungo, Marcio Numerico finì nei pressi di un Istituto Tecnico per Geometri, proprio durante l’ora di ricreazione. Lì, osservò dei giovani che nel cortile della scuola giocavano a una forma avanzata di girotondo, intonando una misteriosa filastrocca:

Gyros gyros tondo
casca l’orbe terracqueo
casca Atlante
tutti giù a levante!

Marcio Numerico, incuriosito, si avvicinò e chiese a uno dei giovani “Ma come cavolo ci riuscite?”, e quello gli raccontò che avevano imparato quel gioco solo da poche settimane, da quando cioè l’insegnante di Numeri irrazionali trascendenti aveva spiegato loro Pi. (“Pi nostro”, lo chiamavano, per la precisione)

Il matematico umbro ci pensò un po’ su, poi chiese: “Pi, la lettera?”. “No – rispose il futuro inoccupato – il numero”. “Ah – disse Marcio -, e che numero è?”. “3,14 circa, ma ora non ho tempo di dirle tutte le cifre decimali, perché la ricreazione è finita e ho il laboratorio di sillogismi. Buona peripatata”. (in lontananza si sentì un fauno ridere)

Marcio Numerico rimase ancora qualche minuto di fronte all’ITG Archimede, riflettendo sull’opportunità unica che aveva a disposizione: esportare Pi in Italia, spacciandolo per una sua invenzione, e diventare ricco e famoso come qualsiasi matematico di successo.

Corse come una furia verso casa, cercando di tenere a mente tutto quello che lo studente gli aveva rivelato. Siccome però aveva peripatato a lungo, ed era molto distante dalla sua abitazione, durante il ritorno qualcosa sfuggì dalla sua memoria e, una volta rincasato, dopo 7 clessidre da 23 minuti, tirando giù dei rapidi appunti scrisse “Pi=III,XLI circa (poi altre cifre che a nessuno importano)”, invece che III,XIV. Tre giorni dopo s’imbarcò su una nave alla volta di Roma.

Durante il viaggio, Marcio Numerico scrisse un trattato di poche pagine, confuso e pieno di scarabocchi, a causa del mare forza 8, ma con un titolo molto accattivante (“Gli strani rapporti tra Diametro e Circonferenza: il Pi latino – così l’aveva rinominato – e la rivoluzione ludica”) che, una volta diffuso in patria, attirò l’attenzione di molti studiosi e rese Marcio un matematico famoso, addirittura in lizza per la medaglia Campi Flegrei.

A un passo dal definitivo riconoscimento però, successe che nelle scuole di ogni ordine e grado s’iniziò ad applicare, all’ora di ricreazione, il Pi latino. Fu una carneficina. Centinaia di girotondi andarono fuori asse e presero a roteare in modo incontrollabile: ragazzini di ogni età e anche qualche bidello iniziarono a schizzare via, sparati dal moto caotico assunto dalla giostra umana mal calcolata.

Marcio Numerico tentò la fuga, che però durò pochissimo, perché il suo carro aveva le ruote fatte su misura, secondo le indicazioni di Marcio stesso. Fu catturato e condannato a dimostrare l’ipotesi di Riemann.

Qualche anno più tardi, il Pi greco – quello vero – fu importato in Italia, e si poté tornare a fare i girotondi in tutta sicurezza.

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