Quando salutiamo qualcuno dicendogli Ci vediamo domani, forse non ce ne rendiamo conto, però compiamo un bell’azzardo. Un salto dal noto all’ignoto.
È l’abitudine. Quel meccanismo mentale senza il quale la specie umana avrebbe vagato disorientata e terrorizzata per qualche tempo, per poi estinguersi rapidamente e lasciare il posto a certi scarafaggi molto meno pensierosi e molto più pragmatici.
Abbiamo visto che nel passato le cose sono andate in un certo modo, ci convinciamo che nel futuro le stesse cose andranno nel medesimo modo. Semplicissimo. E non richiede nemmeno attenzione. Se leggete Hume, lui ve lo spiega molto meglio di me.
Che vergogna, penserete voi. Siamo così irrazionali, così approssimativi. Dovremmo essere più scientifici.
Si dà il caso però che perfino la scienza, quella cosa che useremmo come testimonial se dovessimo pubblicizzare il cervello, agisce esattamente allo stesso modo, quando deve fare quel passaggio.
Osserva il cammino del sole, raccoglie dati sulla sua posizione, cerca una regola che sia in accordo con quelli, le fa produrre nuovi dati e verifica se in effetti domani il sole sorge in quel punto e a quell’ora. Se non succede si rimette mano alle ipotesi, si controllano i dati, e si riprova. Se succede, è un buon primo passo verso una teoria.
In tutto questo però non esiste la minima garanzia che il sole domani sorga. L’uniformtià passato-futuro è un tacito presupposto, un’abitudine alla base della ricerca scientifica, come anche alla base della vita di ogni giorno.
Per quanto ne sappiamo, domani il mondo potrebbe essere tutto completamente diverso. Potrebbe anche smettere di esistere, di punto in bianco. Facciamo finta di no, ovviamente, e pianifichiamo: fare la spesa, andare al teatro, ci vediamo domani, ti lascio un appunto.
Nessuno sa se il sole sorgerà, domani. Comunque, se saremo ancora qui, vi annuncio l’uscita di Scienziaggini, il mio primo e-book.
Poi domani ve ne parlo.
Forse.