Non so come si formino i pensieri, esattamente. O da dove vengano. Di solito c’è una voce nella mia testa che dice delle cose, ma non si capisce mai bene se sono io che le pronuncio in silenzio oppure faccio solo da ascoltatore, dette da chissà chi o cosa. Quasi sempre queste parole hanno a che fare con quello che sto facendo o con le parole che le hanno precedute, in un flusso continuo che ha quasi sempre una certa coerenza interna. A volte certi pensieri arrivano inaspettati, come se si facesse un salto in avanti in quel flusso di parole, come se si saltassero le tappe intermedie. Forse avere un’idea è questo: fare un salto. Più si fa un salto lungo, più l’idea è originale, anche se non necessariamente buona. (ma buona per cosa, poi?). Succede persino che il salto sia così lungo che subito si pensi “non c’entra niente”.
Altre volte invece, più raramente, i pensieri arrivano proprio dal nulla. Lo fanno in modo così inatteso che appena le parole si formano in testa quella stessa voce interiore che le ha pronunciate continua dicendo “be’, e questo adesso da dove viene?”. Pensieri che in quell’istante non c’entrano niente col mondo interiore né con quello esteriore, caduti da un iperuranio o generati dalla fantasmagorica complessità e attività di quell’intrico di neuroni che abbiamo dentro la scatola cranica. O, plausibilmente, anche da un qualche suo malfunzionamento. Una specie di glitch del cervello. A volte sono lampi di genio, a volte non sono niente.
Non so come si formino i pensieri, esattamente. So solo che l’altra mattina, appena sveglio, mentre mi stiracchiavo ancora assonnato seduto sul bordo del letto, tutto d’un tratto mi sono ritrovato a pensare “Gengis Khan mariuolo”.