La natura fa schifo. E se credete in Dio avete persino qualcuno con cui prendervela. Altrimenti sarete costretti a concludere che quasi 14 miliardi di anni – tanto è trascorso dal Big Bang che ha generato questo nostro Universo – è un tempo davvero troppo lungo per avere come risultato finale, tra le altre cose, le zanzare.
Certo, la natura non fa schifo nella sua interezza. Anzi, contiene una grandissima quantità di meraviglie di vario tipo, dai processi che alimentano le stelle alla digestione dei bovini, ma qua e là ha ingegnosamente generato, con quel malefico meccanismo fatto di caso e necessità che alimenta il mondo dei viventi, delle entità il cui scopo, nel grande disegno naturale, sembra unicamente quello di emanare fastidio. Tra queste entità ci sono senza alcun dubbio le zanzare.
Non so se a questo punto sia chiaro a tutti, ma il mio problema sono le zanzare. Anzi, la zanzara. Una, singola, specifica zanzara. La zanzara residua. Dicesi zanzara residua quella zanzara che, infilatasi all’interno di un appartamento un attimo prima dell’arrivo dei primi freddi, vi prende dimora stabile, sopravvivendo grazie alle temperature confortevoli e all’alimentazione basata sugli umani residenti.
Il caso più famoso di zanzara residua è citato nel n. 77 dell’International Journal of Mosquito Research, in un articolo intitolato Those Bloody Winters in Louisiana – The Worst Case Ever of Residual Mosquito, di G. Razi, E. Alca, T.S. Ho, in cui si racconta di una zanzara che si stabilì in una casa di Baton Rouge, negli USA, e vi dimorò per 16 anni, cibandosi del sangue dei suoi abitanti.
Il mio caso è ben lontano dalla tragedia analizzata nell’articolo citato, perché la mia zanzara residua ha preso dimorai da appena tre settimane, ma devo essere sincero: ci tengo pochissimo a finire in un articolo di entomologia in qualità di risorsa alimentare, quindi prima finisce questa situazione meglio è.
Il problema è che, come viene anche sottolineato nell’articolo di cui sopra, la zanzara residua non è una zanzara qualunque, ma è, in termini biologici, una creatura superiore, un esemplare fuori dal comune. Il che è piuttosto scontato, visto che si tratta di un individuo che è riuscito a sopravvivere a tutto il periodo estivo, ad arrivare ai primi freddi, a trovare rifugio in un ambiente antropizzato e ostile e lì a sfuggire giorno dopo giorno e notte dopo notte al suo peggior nemico, l’homo technologicus dotato di ciabatta, giornale arrotolato e stracci vari.
Premiata nella lotta per la sopravvivenza con la medaglia d’oro, sponsorizzata da Darwin e munita di capacità cognitive ben al di sopra della media della sua specie, la zanzara residua sa come, dove e quando muoversi. È in grado di rimanere nascosta per giorni, per poi attaccare nel momento più opportuno, quando l’homo technologicus è disarmato e disattento: cioè è sul divano davanti alla TV.
L’attacco della zanzara residua però non è mai diretto, e questo dimostra quanto essa sia un’abile stratega; in tal modo infatti si esporrebbe troppo all’eventuale contrattacco. La zanzara residua invece intraprende prima una serie di azioni di disturbo (ex volare attorno alle orecchie dell’umano e poi ritirarsi; farsi notare in luoghi difficilmente raggiungibili al contrattacco, come in alto sulle pareti, vicino al soffitto), azioni finalizzate a stancare l’avversario/obiettivo, dopodiché porta l’attacco vero e proprio, solitamente dal punto più inaspettato e meno difeso, cioè dal basso, con una prima linea di tiro che mira direttamente alle caviglie.
Oppure, con una strategia ancora più vincente e ancora meno rischiosa, la zanzara attende che l’avversario/cibo sia completamente indifeso, ovvero a riposo. L’homo technologicus che dorme placido nel suo letto, agli occhi di una zanzara non è che un gigantesco ristorante su cui spicca la scritta al neon “ALL YOU CAN EAT – FREE” (le zanzare parlano inglese, nel caso non lo sapeste); uno spropositato pasto gratis in stato di incoscienza, che se anche si svegliasse allarmato dall’attacco risulterebbe lento, rincoglionito e comunque incapace di vederci al buio. A fine nottata, nient’altro che un esemplare della specie che domina il pianeta che si sveglia e davanti allo specchio s’accorge di avere uno smisurato bubbone zanzaresco in piena fronte.
Così è stato, con la mia zanzara residua. E così è. Perché lei è ancora lì fuori. Anzi, qui dentro. Nascosta in un angolo buio, paziente, in attesa di colpire senza fretta e senza prendersi rischi. Perché a lei serve succhiarmi via quel tanto che basta per superare l’inverno e arrivare alla prossima bella stagione, quando potrà uscire e scorrazzare libera, guidando – grazie al grado raggiunto nel frattempo – formazioni aeree di giovani zanzare in missioni spericolate e atti d’eroismo.
Lei è qui da qualche parte, lo so. Piccolo schifoso gioiello della natura.