Una cosa, al di là di ogni altra, mi ha stupito de Il naso della Sfinge: quanto sia qualcosa di molto di più di quanto mi aspettassi.
Capiamoci, non è che non avessi piena fiducia in Roberto Radimir. Ci avevo collaborato per anni, e conoscevo bene le sue capacità. Sapevo già che non mi avrebbe deluso. Non a caso sono corso a bussare alla sua porta, quando Blonk mi ha affidato la collana Stravaganze.
Però, lo ammetto, mi aspettavo qualcos’altro. Una vicenda in qualche modo satirica, molto probabilmente. Della comicità caustica, di certo. Quel suo modo ingegnoso di sbatterci in faccia le contraddizioni in cui siamo immersi e la ridicolezza di certe nostre battaglie, senza dubbio.
E tutto questo – sia chiaro – ne Il naso della Sfinge c’è. Ma c’è molto di più. Ci sono memorie e ricordi, provenienze e radici. C’è la storia di una famiglia, coi suoi rituali, il suo lessico, le sue tragedie. C’è un bel pezzo di sé, di Roberto, tra quelle pagine; anche se spezzettato, quasi mimetizzato in piccole tessere che insieme a molte altre formano un mosaico parecchio più ampio, che disegna grandi eventi storici, importanti figure e personaggi, temi sociali e culturali di grande rilievo. C’è la storia e la Storia, dentro Il naso della Sfinge.
Non mi aspettavo così tanto. Al punto che quando finii di leggere il manoscritto mi chiesi se me lo meritassi davvero, visto che nel ruolo di curatore ero al mio esordio.
Ho deciso di meritarlo, alla fine.
È una bella responsabilità. Ma anche una gran fortuna.
(a proposito, la seconda settimana di maggio Il naso della Sfinge e il suo autore sono in tour a Milano e dintorni. Io li accompagno in qualche tappa. Qui trovate un po’ di informazioni. Per aggiornamenti, seguite la pagina Facebook di Blonk)