Ieri, di nuovo, c’è stata la riunione del circolo di lettura.
Siccome l’altra volta il metodo del bersi dei bicchieri di vino per non tirare delle sedie – in caso fosse stato proprio necessario – non aveva dato grandi risultati, cioè, risultati li aveva anche dati, ma gli effetti collaterali erano un po’ troppo evidenti, allora questa volta ho lasciato stare, con quel metodo lì.
Devo dire che non mi è presa per niente voglia di tirare delle sedie, ieri sera, a quelli che facevano dei commenti un po’ così, e infatti forse mi sto abituando a quest’ambiente del circolo, che io in effetti ero molto scettico, all’inizio. Ci ho messo tipo un anno, ma ognuno ha i suoi tempi.
Poi quand’è toccato a me di parlare di Piccoli suicidi tra amici, di Arto Paasilinna (comunque i finlandesi hanno dei nomi che dev’essere una fatica chiamarsi)(ah, se non l’avete letto non so se è il caso che proseguiate, qui, perché svelo un po’ di cose. Fate voi), ho detto che a un certo punto, durante la lettura, ho iniziato a tifare per il suicidio, perché non vedevo l’ora che questo gruppo di finlandesi beoni e campeggiatori ammirevoli si buttasse giù da qualche alta rupe sul serio. Invece niente.
Ho detto anche che quell’ironia e umorismo che molti ci avevano trovato (lì per un attimo ho avuto un po’ l’automatismo di afferrare la sedia, devo dire) a me non sono arrivati, nonostante fossi consapevole che l’autore stesse cercando di trasmettermeli. Che è un po’ uno dei miei incubi peggiori, quello di cercare di far sorridere ma non far sorridere.
Fatto sta che l’unica cosa che mi ha davvero divertito e fatto sorridere è stata la morte di quel poveraccio di agente dei servizi segreti, che nel libro mi sa che era l’unico che non voleva morire.
Quindi secondo me, ieri sera, erano gli altri che volevano tirarmi delle sedie. Adesso siamo pari, più o meno.