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Sì frontiere

I muri sono senz’ombra di dubbio una delle invenzioni più importanti nella storia dell’umanità, alla pari del fuoco, della ruota e delle asole (che sono state inventate molto più tardi dei bottoni, i quali, per un lungo periodo, non si è capito a cosa servissero).

Senza muri la specie umana non sarebbe andata da nessuna parte. Soprattutto non sarebbe andata nell’altra stanza, o in qualsiasi altro luogo alternativo al “voi siete qui”.

I muri, infatti, come i confini di ogni tipo, definiscono due luoghi, due dove, e contengono già in sé il concetto di superamento.

Se non avessimo avuto i muri, dialoghi del genere:

– Dove vai?
– Di là.

suonerebbero così:

– Dove vai?
– Boh.

L’assenza di muri crea un territorio indifferenziato in cui tutti si sentono disorientati e privi della benché minima ambizione, perché qualsiasi oltrepassamento o raggiungimento è negato, nell’indistinzione di qui e lì.

Quando c’era il muro di Berlino, per esempio, c’erano l’Ovest e l’Est, il capitalismo e il comunismo, la NATO e il Patto di Varsavia, la Coca Cola e la Vodka. Ora, a più di venticinque anni dal suo abbattimento, ci sono i tomtom, il mercato globale, le missioni di pace e lo Smirnoff Vodka-Mojito.

Questo marasma di tutto uguale a tutto, quest’assenza di frontiere che spegne ogni nostro spirito d’iniziativa e di scavalcamento, questo falso dono benevolo dell’aggirarsi ovunque senza scopo e senza documenti d’identificazione: solo i muri possono salvarci da tutto ciò.

Perciò ben vengano nuovi muri e barriere, ben vengano le frontiere chiuse, le sbarre abbassate, i posti di blocco, i respingimenti e qualsiasi altro edificio, struttura, azione o procedura che separi e distingua. Che divida chiaramente chi è da una parte e chi è dall’altra. Loro da noi e noi da loro.

Perché io, sinceramente, passare da razzista non mi va proprio.

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