Io le prefazioni non le leggo più. Cioè, non le leggo più, le leggo dopo. Una volta le leggevo prima, com’è normale con una cosa che si chiama pre-fazione. Poi, sempre più spesso, mi è successo che la prefazione mi raccontasse il libro, svelasse trame, personaggi, ambientazioni, riferimenti e significati. Una specie di Bignami (li fanno più, i Bignami?) messo lì dal prefatore come a dire Visto che l’ho letto, il libro?
Allora adesso le prefazioni le leggo dopo, alla fine. E se nel libro c’è pure una postfazione, la prefazione la leggo dopo la postfazione, e devo dire che la prefazione dopo la postfazione ci sta benissimo, perché a quel punto il libro l’ho letto, e se mi svelano la trama o certi altri dettagli non c’è mica problema, e poi tutte le riflessioni sui significati, le interpretazioni, diventano interessantissime (oddio, possono essere anche delle gran cagate, dipende un po’ anche dal prefatore) perché so di che stiamo parlando.
Allora la mia proposta eccola: spostare tutte le prefazioni alla fine dei libri e trasformarle in postfazioni. E se per caso la postfazione già c’è, nel libro, la prefazione si mette ancora dopo, chiamandola non lo so, seconda postfazione, ultima postfazione (post-postfazione mi pare un po’ ridicolo).
Così, quelli che fanno di mestiere i prefatori (sono sempre gli stessi a scriverle, quindi dev’essere un lavoro) possono continuare a scrivere prefazioni senza tanti timori, anzi sentendosi più liberi. Quelli che fanno di mestiere i postfatori (che io sospetto essere gli stessi delle prefazioni) anche loro sono a posto. Io, lettore, possono leggermi il mio libro tutto di seguito senza salti o interruzioni e godermelo appieno. E gli editori avranno di sicuro qualcosa da ridire e di cui lamentarsi, ma questo è normale.
Quindi a posto.
Postfazione
Che poi non dico niente di nuovo.