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ITA missa est

L’Alitalia non c’è più. Cioè, c’è ancora, ma ormai è solo un contenitore di debiti. Una specie di cassaforte al contrario. Se un ladro la scassinasse, non solo non diventerebbe ricco, ma si ritroverebbe senza nemmeno i soldi che possedeva già e con una folla di creditori incazzati sotto casa.

L’Alitalia, la nostra storica compagnia di bandiera, ha smesso di esistere dopo 75 anni. Lascia un grande vuoto, soprattutto nel bilancio statale. Già adesso mi sale la nostalgia: chissà se mi mancheranno di più i salvataggi di Alitalia o quelli di Baywatch.

L’Alitalia adesso è in amministrazione straordinaria. Non fa tanto effetto, in un Paese come il nostro in cui lo straordinario è ormai l’ordinario, e l’ordinario è esso stesso l’attesa dello straordinario. Insomma, la bara dell’Alitalia è ancora aperta e possiamo darle l’ultimo saluto. “Guarda, pare che dorme”.

Al suo posto è già arrivata ITA, la compagnia con la sigla più fastidiosa da infilare in qualunque discorso, e la cui utilizzabilità nei giochi di parole è dolorosamente infinITA. Essere passati da “Alitalia” a “ITA” è come dire “Visto? Abbiamo già risparmiato”, come fossero le lettere il problema.

Non è che a una compagnia appena nata voglio già tarpare le ali. Soprattutto perché non mi va di vedere una compagnia aerea diventare una compagnia di autobus. Però non sono fiducioso.

Non sono fiducioso, perché la prima cosa che ho letto di questa nuova ITA è che i suoi aerei saranno di colore azzurro. Adesso io voglio sapere chi è il genio che ha deciso di verniciare degli aerei che sfrecciano in cielo pieni di gente e a centinaia di chilometri orari dello stesso colore dello sfondo. Aerei azzurro cielo. Una follia a livello di visibilità. Sarebbe come fare le auto color asfalto. O color nebbia.

Ma va bene così. Ci abitueremo anche a questo.

E allora addio cara Alitalia. Speriamo ti chiudano la bara in fretta, perché sinceramente cominci un po’ a puzzare.

Dopodiché, potrai finalmente volare in cielo. Per una volta in perfetto orario.

 

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