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L’insostenibile leggerezza del lasciare un libro a metà

Sebbene tra i diritti inalienabili del lettore vi sia anche quello di non finire un libro, difficilmente mi avvalgo di questa sacrosanta opportunità.

Nella mia modesta carriera di lettore, i libri di cui ho abbandonato la lettura si contano sulle dita di una mano di Topolino. In sostanza, non ce la faccio: una volta iniziato un libro devo finirlo. Anche se mi viene voglia di tirarlo dalla finestra, in fiamme, mentre lo colpisco ripetutamente con un bazooka.

È stupido, lo so. Anzi peggio: è una violenza. Anche perché, e ogni lettore lo sa bene, potrebbe trattarsi di un bel libro, letto però nel momento sbagliato. Accanirsi per poi odiarlo è assurdo, quando si potebbe metterlo da parte e ricavarci una sana soddisfazione più un là, fra mesi o anni.

Per molto tempo ho giustificato questa mia diabolica perseveranza con una domanda: e se smetto di leggerlo e dalla pagina successiva diventa un gran bel libro? Che è un po’ come chiedersi: e se domani il sole non sorge? Il che, capiamoci, è possibilissimo, perché la nostra conoscenza del mondo funziona proiettando il passato (il sole è sempre sorto) nel futuro (sorgerà anche domani), ma di garanzie definitive non ce ne sono da nessuna parte. Quindi il sole potrebbe non sorgere, domani, e quel libro potrebbe essere bellissimo, dalla prossima pagina. Però, ammettiamolo, è piuttosto improbabile che accada. Scommettiamo che l’ignoto sia uguale al noto e andiamo avanti così, induttivamente.

Ora però, da qualche tempo a questa parte, ho capito che quel “finisci il libro!” è solo un vuoto imperativo morale, il quale, come tutti i vuoti imperativi morali, ha due effetti principali: vi rovina la salute e vi fa perdere tempo. Vi rovina la salute perché, come ho già detto, è una violenza. E vi fa perdere tempo perché, invece di arrancare con fatica attraverso pagine che strappereste volentieri, per poi gettarle dalla finestra in fiamme mentre le colpite col solito bazooka, potreste dedicare quel tempo per leggere qualcosa di meglio. State cioè sottraendo del tempo a una buona lettura. Il che, se avete già raggiunto la consapevolezza che un giorno morirete e che quindi il numero di libri che potete leggere nell’arco di una vita è limitato, è imperdonabile.

Così, sull’onda di questa mia nuova saggezza di lettore pronto a lasciar da parte un libro che proprio non ce la fa, ho di recente “parcheggiato” L’insostenibile leggerezza dell’essere, di Milan Kundera, dopo circa 150 pagine (avrei dovuto farlo prima, ma la saggezza si affina col tempo, non è un interruttore acceso/spento), perché avevo una gran voglia di buttarlo dalla finestra ecc.

(L’avevo trovato l’estate scorsa, in una bancarella di libri usati. Ricordavo di averlo sentito tanto nominare, negli anni ’80, e che c’avevano tratto pure un film, che non avevo visto. Tanto bastava per comprarlo)

Se ha avuto il successo che ha avuto, un motivo ci sarà, letterario o meno. (la mia attuale ipotesi è che il nome dell’autore, Milan, abbia trovato grossi consensi nelle cerchie calcistiche, e che questa prima fetta di lettori abbia fatto da traino) Io so solo che, dopo un centinaio di pagine, avrei preferito curare una carie a un piranha senza anestesia (a me, nel senso, l’anestesia). Proverò a leggerlo fra qualche mese. Anzi, facciamo fra qualche anno. Chissà che non lo adori.

Sulla scorta di questo parcheggio letterario, e di questo nuovo carico di saggezza, ieri, mentre girovagavo solitario in una libreria, è entrata una ragazza e ha chiesto alla libraia L’insostenibile leggerezza dell’essere. Io, che ero lì a due passi, ho pensato: adesso glielo dico. Le dico di no, meglio di no, che prenda qualcos’altro, che quel libro lì a un certo punto diventa di una noia che le conviene avere un bazooka in casa, oltre a una finestra aperta. Che lo prenda fra qualche anno magari. Ho pensato: no, non glielo dico, sennò la libraia mi mena perché le ho fatto saltare una vendita. Le faccio dei segni: scuoto la testa, oscillo l’indice.

Poi però, visto anche questo nuovo carico di saggezza che mi porto dietro, ho deciso di lasciar stare, perché ogni lettore ha la sua strada, e io sono un librardemocratico.

Quella ragazza, lei e solo lei potrà decidere se L’insostenibile leggerezza dell’essere è un capolavoro oppure un libro noioso, se è il caso d’insistere o lasciar perdere, se riprenderlo più avanti, saltare le pagine, adorarlo, leggerlo una volta l’anno, donarlo alla biblioteca o regalarlo a un’amica odiosa.

Io, con le tasche piene di saggezza, ho lasciato che decidesse da sé.

Tanto non ce l’avevano disponibile.

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