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La scuola tricotica

“La scuola può essere una bella merda”, diceva Platone, mentre i suoi alunni inventavano delle citazioni da attribuirgli. D’altronde, come dargli torto? Tutti abbiamo qualche brutto ricordo di quegli anni.
Per quanto mi riguarda, fui uno scolaro spensierato fino in terza media. Poi i miei genitori m’iscrissero all’Istituto Helvetico Sanders, scuola superiore per ragazzi con problemi tricologici. Nonostante le mie proteste, sfociate in uno sciopero della R (in patica palavo senza usae la lettea ee), furono irremovibili. Entrambi provenivano da famiglie con chiome folte e lussureggianti. Mio padre, campione di acconciature acrobatiche all’Esposizione universale di Montreal, si vantava spesso di aver ispirato il personaggio di Cugino Itt della Famiglia Addams; mia madre era stata Miss Follicolo dal ’65 al ’67. Da tali genitori sarebbe dovuto nascere un kraken della capigliatura, il superuomo jeanlouisdavidiano. Invece a dodici anni mostrai i primi segni di calvizie.
Così, per evitare l’onta di un discendente pelato, fui spedito nell’unica scuola che avrebbe potuto raddrizzarmi il cuoio capelluto, il rinomato Istituto Helvetico Sanders, la cui inquietante sigla IHS campeggiava in ogni aula, appena sopra la foto di Branduardi.
Ricordo ancora con disgusto lo strato di capelli e lanugine che ricopriva ogni cosa. Un martedì mattina il povero Minelli impazzì: raccolse manciate di quel tappeto nauseabondo e se le incollò in testa col vinavil, gridando “Il diploma! Datemi il diploma!”. Quando lo portarono via, si difese scalciando e spruzzando sugli infermieri un’intera bomboletta di lacca extraforte.
Tutti davamo segni di squilibrio. Alberta Maria Von Weizsäcker della II B (si chiamava proprio così; faceva la sezione A), per esempio, ultima nata dei Weizsäcker di Zafferana Etnea, magnati dei pistacchi, si passava ossessivamente le mani tra i capelli, che però non aveva. “Se ne trovo uno”, millantava, “mio padre ha promesso di togliermi da questa scuola senza sbocchi e di iscrivermi a Ragioneria”.
Il mio compagno di banco Juri Bussolenghi era invece di umili origini. Non si sarebbe mai potuto permettere il Sanders senza la borsa di studio della L’Oréal. I suoi folti riccioli neri emanavano, dalle 8 alle 15, un forte odore di cavolo bollito, mentre nelle restanti ore odoravano di Birkenstock dopo la Notte della taranta. Solo in quarta scoprimmo che Juri si nascondeva in testa un cavolo bollito ogni mattina, per coprire almeno a scuola l’odore di Birkenstock. Gli diedero 8 in condotta e 5 in Acconciature.
A differenza di noi alunni, traviati da ogni possibile patologia del cuoio capelluto, gli insegnanti dell’IHS erano campioni dell’ipertricosi, modelli di riferimento, calamite per le nostre maledizioni.
Martino de Porres, insegnante di Matematica e riporti, era l’oggetto del desiderio di tutte le ragazze. Esperto di geometria cranica, si era laureato al Massachusetts Institute of Trichology con la tesi ‘Triconometria sferica ed estensione di superfici pilifere N-dimensionali: il caso di Bobby Charlton’, pubblicata poi su Men’s Health. Uno e novanta, fisico da ovulazione istantanea, aveva ricci biondo cenere che gli scendevano fino alle spalle. Li teneva raccolti sbadatamente, con un elastico che a fine lezione lanciava tra le alunne urlanti. Praticava il surf, e spesso arrivava in classe accompagnato dalla sua tavola ancora umida, nonostante il mare distasse 400 chilometri. Il suo motto era: “Gli esami del capello non finiscono mai”. Anni dopo venni a sapere che, ricercato dall’FBI, era scomparso in circostanze poco chiare mentre su una spiaggia australiana cercava di risolvere la congettura di Goldbach.
Agli antipodi c’era l’irascibile Gertrude Schwarzkopf. Famosa per la resistenza della sua chioma da valchiria, la raccoglieva in una possente treccia di 6 metri, fermata all’estremità da un tondino Krupp da 3kg. Si diceva che in Germania, durante la guerra, avesse trainato coi suoi capelli il cannone ferroviario Leopold K100 da Dortmund a Düsseldor. Insegnante di Stiraggio ed extension, infliggeva teutoniche trecciate a chi non faceva silenzio. Ogni giovedì ci costringeva all’ascolto della tetralogia de Der Ring des Nibelungen, nell’esecuzione diretta da Karl Böhm. Un giorno chiesi di andare in bagno durante il terzo atto del Siegfried. Ne ebbi per 60 giorni, più riabilitazione.
Dopo quel violento episodio i miei genitori decisero amorevolmente di ritirarmi dall’Istituto Helvetico Sanders. E m’iscrissero al Cesare Ragazzi.

(articolo pubblicato sul numero di linus di settembre 2016)

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