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Il tacco evolutivo

Fino a un certo punto abbiamo abitato sugli alberi. Abbiamo nel senso di noi. Noi nel senso dei primati di cui siamo gli eredi diretti. Diretti nel senso che fra loro e noi di differenza c’è solo una schiena più dritta e qualche ceretta integrale. In pratica erano scimmie, anche se tra loro si chiamavano già primati.

Poi è successo qualcosa. Qualcosa che ha convinto le scimmie che gli alberi non fossero più l’habitat adatto. Le teorie sono diverse. C’è chi dice che tale decisione sia maturata dopo una notte di vento fortissimo. La mattina erano più le scimmie cadute dall’albero che quelle sui rami, così, statistiche alla mano, si decise per la via meno faticosa e gravitazionalmente ottimale: invece di salire in molti, scesero in pochi.

Secondo un’altra teoria successe che un primate perditempo stava su un ramo a giocare con una moneta da 50 centesimi. La lanciava e la riprendeva, la lanciava e la riprendeva. In effetti era molto bravo a lanciarla e riprenderla, tanto che alcuni impresari l’avevano contattato per averlo nel loro spettacolo itinerante, ma lui aveva risposto che la scimmietta la facessero fare a qualcun altro. Fatto sta che all’ennesimo lancio non seguì l’ennesima presa, e la moneta cadde di sotto. Le altre scimmie perdigiorno che erano lì con lui saltarono giù di corsa per fregarsi la moneta, la voce si sparse e alla fine i primati si ritrovarono tutti a terra, a litigare per soldi. (questa teoria in effetti spiegherebbe molte cose)

La teoria che sembra però più realistica è quella secondo cui furono le femmine dei primati (adesso bisogna dire primate, o primatesse, altrimenti si rischia un’interrogazione alla Camera) a scendere per prime dagli alberi.
Andò così. Una signora primatessa un sabato pomeriggio era salita sui rami alti di un albero, dove c’era il centro commerciale, per fare shopping. Il marito, il signor primate, non l’aveva accompagnata, perché c’era un’importante partita di lancio della pigna che non voleva perdersi. La signora era andata in compagnia di alcune amiche e della carta di credito.
Dopo aver razziato alcuni negozi di abbigliamento (Preda, Dolce&Gibbone, Cavalli) finirono in un negozio di scarpe. Lì, la signora primatessa e le sue amiche provarono un modello dietro l’altro, mai soddisfatte. Il commesso, sfinito, giocò la sua ultima carta: “Vedo che le signore sono davvero esigenti. Ho quello che fa per voi. Un modello che ci è appena giunto da lontano, una moda che qui da noi, sul nostro albero, non si è vista nemmeno sui giornali. Una scarpa rivoluzionaria, oserei dire d’avanguardia, sperimentale addirittura. Ecco a voi il tacco a spillo”, e mostrò loro la scarpa. Rimasero senza parole. Già un po’ di tacco era un bell’azzardo, sugli alberi, però alcune lo indossavano. Ma quello, quello spillo, era una vera follia. Ne acquistarono due paia a testa.
La sera andarono a cena fuori, stavolta mariti compresi. Tutte indossavano le scarpe nuove. Inutile dire che nemmeno la migliore acrobata sarebbe riuscita a fare più di due passi su rami, con quegli spilli ai piedi. Fu un continuo di voli, capriole, carpiati e schianti. E i mariti giù a ridere e a prenderle in giro: “Su, toglietevi quelle trappole, prima di farvi male sul serio”, “Non l’avete ancora capito che vi ha fregato, quel commesso?”, “Con tutti questi voli pare di essere al circo”.
Le primatesse erano furibonde, soprattutto perché i mariti avevano ragione: con quelle trappole ai piedi sui rami non c’era verso di muoversi. Stavano per abbandonare quella nuova dirompente moda quando la prima primatessa si fece silenziosa. Guardò il signor primate che si sganasciava dalle risate, guardò giù di sotto, le comparve un sorriso all’angolo della bocca, e invece di scaraventare suo marito al suolo, saltò lei a terra. Bastò qualche passo per capire che lì il tacco funzionava senza problemi. Scesero anche le altre. E i signori primati capirono che non c’era più niente da ridere, anzi.

Dopo qualche giorno sugli alberi non c’era più nessuno.

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